QUATTRO PERSONAGGI IN CERCA DI CITTA’_PARTNERSHIPS AL PROGETTO

VIVO SU UNA MELA (Programma radiofonico di RADIO LUISS)_BENEDETTA CIRILLI

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1)Quali sono le impressioni generali sul progetto?

Ottime, perchè credo che la musica non abbia sufficiente spazio in Italia. Questo progetto potrebbe essere un hub da cui far partire idee e progetti che possano far ampliare e sviluppare il settore. A Roma inoltre c’è una carenza di spazi del genere in rapporto al numero di artisti che vi operano.

2)Questo tipo di programma prevede una collaborazione fra attività simili ma che di fatto hanno modalità di esecuzione differenti. Credi che possa essere un vantaggio o uno svantaggio?

Sicuramente un vantaggio. Creerebbe un nuovo network di settore unendo più campi della musica e rendendoli collaboranti fra loro. Prima, più o meno negli anni ’70 gli artisti per esibirsi dovevano rifarsi direttamente ai locali, questi chiaramente chiedevano commissioni esagerate, creando così una vera e propria lobby. Dal mio punto di vista, ossia quello della radio, ciò è assolutamente negativo perchè costringe la musica a un legame troppo forte con il marketing.La radio ha la funzione di promuovere sia l’artista che la serata che lo studio di registrazione, ossia l’etichetta creando un giro di collaborazione. Inoltre il problema di oggi è che le band spesso e volentieri devono produrre da sole, questo richiede un quantitativo di soldi eccessivo per molti. Un luogo del genere invece creerebbe un nuovo loop, un vero e proprio incubatore di musica in cui tutti lavorerebbero per tutti, creando un nuovo marketing meno asfissiante.

3)Per la particolare posizione su una delle vie cardine di Roma, Lungo Tevere, e in un area con luoghi già legati a questo tipo ti attività, il villaggio olimpico. Come pensi possa essere gestito uno spazio del genere?

L’auditorium è un spazio grande ma non sufficientemente usato. Potrebbe stimolare un quartiere ancora non sviluppato a livello di attività. Una nuova collaborazione anche con gli spazi già esistenti, potrebbe risanare tutto il contesto, ancora un po spento. Il parco della musica stesso potrebbe mettere a disposizione gli spazi e passare contatti fra le due attivtà.

4)Quali sono le necessità spaziali di un programma del genere?

Non ha necessariamente bisogno di uno spazio troppo grande a meno che non venga fatta nello stesso spazio di uno studio di registrazione. 20 mq sono sufficienti. Radio Luiss nello specifico è una piccola radio autogestita attraverso finanziamenti universitari. Gli elementi fondamentali della nostra radio e che vorrei ritrovare in tutte le altre sono: una stanza dove ci sono tutti i cd di proprietà della radio, e due piccole stanze,una per la regia e l’altra per i conduttori. La visibilità deve essere al massimo per poter far interfacciare non solo chi lavora ma anche che connetta lo spazio di lavoro all’ambiente esterno. Nello specifico di Radio Luiss alle spalle di chi conduce c’è una finestra che connette all’ ambiente esterno ossia il giardino dell’università, ciò permette di stare sempre in contatto con chi segue il programma permettendo un interazione live e rendendo il lavoro più divertente e stimolante.

5)Quali sono i tuoi progetti futuri con “Vivo su una mela”? Uno spazio del genere potrebbe incontrarli?

Il programma nasce dalla collaborazione tra ragazzi, purtroppo ora siamo un po rallentati in quanto alcuni si sono spostati all’estero per motivi di studio. Uno spazio del genere permetterebbe continuità creando contatti di collaborazione con alte persone interessate affinché non vi siano interruzioni dovute alla mancanza di conoscenze.

MAJANAL CREW (Longboard crew di Roma)_CLAUDIO DI MAULA

MAJANALCREW

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1)Quali sono le impressioni generali sul progetto?

Lo trovo di grande potenziale poiché la scena romana dello skate è decisamente poco sviluppata. Avevamo un skate park di rilevanza internazionale ad Ostia, nel quale sono stati svolti anche gli europei ed è stato chiuso a causa di uno sfratto proprio da chi lo aveva creato, in quanto il terreno su cui stava era più utile secondo loro per costruire l’ennesimo palazzo. In cinque mesi sono stati messi i sigilli e la gente per protesta ha dato fuoco a tutto, buttando 13 anni di attività. Era l’unico catalizzatore di eventi nell’ambito.

2)Questo tipo di programma prevede una collaborazione fra attività simili ma che di fatto hanno modalità di esecuzione differenti. Credi che possa essere un vantaggio o uno svantaggio?

Il più grosso problema dello skate a Roma è la monopolizzazione da parte di chi è capace, non arrivano nuovi skaters o interessati. Il progetto è interessante proprio per questo, perchè inserito in un contesto ve va al di fuori dello sport. Mi immagino che magari ti senti un concerto o ti prendi un semplice caffè e poi dopo ti butti nella pool o viceversa. Il luogo lo sponsorizzano le persone, più persone diverse ci vanno e più ottiene sponsorizzazione. La RedBull lavora proprio su ciò.

3)Per la particolare posizione su una delle vie cardine di Roma, Lungo Tevere, e in un area con luoghi già legati a questo tipo ti attività, come il villaggio olimpico. Come pensi possa essere gestito uno spazio del genere?

Ecco grande problema degli skate park in questa città è la raggiungibilità, il migliore se non l’unico è a Cinecittà, fuori mano per moltissime persone poiché copre solo una certa zona di Roma. Ora sta andando molto il ponte della musica, ma non è un vero skate park, è limitato a livello di strutture e partecipazione.

4)Quali sono le necessità spaziali di un programma del genere?

Sicuramente la prima cosa che mi viene in mente è l’utilizzo 24h della struttura. In molte città come per esempio a Gienvra, dove con la crew siamo stati da poco, lo skatepark è aperto fino a mezzanotte tutti i giorni e durante il week end anche di più. Inoltre la cosa che manca nei pochi skate che ci sono a Roma sono gli spalti per permettere alle persone che non praticano di partecipare. Crediamo fermamente sia sciocco rilegarsi nell’ambiente e non permettere che lo skatepark si aanche una piazza per chiuqnue altro.

5)Quali sono i tuoi progetti futuri con “MAJANAL CREW”? Uno spazio del genere potrebbe incontrarli?

sicuramente noi poiché pratichiamo longboard siamo meno interessati a uno spazio chiuso e limitato, a noi servirebbe più una discesa dritta vista la disciplina, però ciò non toglie che non ci si possa avvicinare alla poll . Fondamentalmente pratichiamo il longboard per la carenza di spazi effettivi.

SDK SOUND (Gruppo di musica elettronica tra Roma e Napoli)_GABRIELE DI TELLA

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1)Quali sono le impressioni generali sul progetto?

Lo trovo molto interessante proprio perchè a Roma non c’è uno spazio del genere. All’esteroè pieno, andremo a un workshop a Parigi proprio della RedBull tra qualche mese. A Berlino esiste l’Università di musica elettronica.

2)Questo tipo di programma prevede una collaborazione fra attività simili ma che di fatto hanno modalità di esecuzione differenti. Credi che possa essere un vantaggio o uno svantaggio?

Un vantaggio perchè accomunare diversi interessi e mettere in relazione professionisti o non dello stesso campo. Può funzionare da carburante per nuove idee.

3)Per la particolare posizione su una delle vie cardine di Roma, Lungo Tevere, e in un area con luoghi già legati a questo tipo ti attività, come il villaggio olimpico. Come pensi possa essere gestito uno spazio del genere?

Oltre a cercare di creare un nuovo network lavorativo, credo che questo spazio debba essere gestito come un posto in cui istruire anche a sponsorizzarsi attraverso l’approccio con le persone. Per di più oggi giorno ci si sponsorizza attraverso internet e i social. E quindi perchè non gestirlo con un vero e proprio social fisico.

4)Quali sono le necessità spaziali di un programma del genere?

Per quanto riguarda ciò che interessa a me nello specifico ossia lo studio di registrazione deve essere uno spazio chiuso, non può essere un open space. Il musicista a bisogno di un luogo intimo e di concentrazione in cui può creare. Mi immagino uno spazio composto da tante diverse sale e box privati. Chiaramente dopo il momento della produzione ci deve essere quello dell’espressione perciò è necessario anche uno spazio o un palco comune per potersi esibire.

5)Quali sono i tuoi progetti futuri con “SDK SOUND”? Uno spazio del genere potrebbe incontrarli?

Oggi giorno è veramente difficile cercare sponsor, se non hai gli agganci giusti difficilamente trovi spazio per poterti esprimere. Il nostro obbiettivo e quello di esibirci sempre e sempre di più, questo spazio faciliterebbe decisamente le cose. Ripeto in Europa funziona già così, la Redbull già fa questo. Inoltre secondo me dovrebbero esserci degli spazi per studiare in maniera più teorica proprio questo, ossia la creazione della propria immagine nel confronti del mondo della musica. Sarebbe interessante legare questo posto anche al marketing e l’autopromozione. Dietro una canzone ci sono tante cose, comunicazione, grafica, sponsorizzazione on line.

CIRCOLO DEGLI ILLUMINATI (Club di Roma) _OLIVIER ZON

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http://www.circolodegliilluminati.it/

1)Quali sono le impressioni generali sul progetto?

Lo trovo molto interessante lavorando nel settore dell’organizzazione, Roma si deve sempre servire di spazi già esistenti che tuttavia non sono nati per assolvere queste funzioni, e il risultato a volte non e ottimale.

2)Questo tipo di programma prevede una collaborazione fra attività simili ma che di fatto hanno modalità di esecuzione differenti. Credi che possa essere un vantaggio o uno svantaggio?

Credo che l’idea sia quella di creare un vero e proprio contenitore, ciò di fatto eviterebbe uno spreco di risorse e energie, anzi le catalizzerebbe molto meglio. Inoltre noto la volontà di un ampia risonanza quindi se veramente dovesse funzionare non sarebbe mai un sistema chiuso.

3)Per la particolare posizione su una delle vie cardine di Roma, Lungo Tevere, e in un area con luoghi già legati a questo tipo ti attività, come il villaggio olimpico. Come pensi possa essere gestito uno spazio del genere?

Sicuramente e uno spazio del genere deve essere aperto sia di giorno che di notte. Fondamentale per questo sono i trasporti, purtroppo oggi crea un grande limite. Bisognerebbe creare un posto sicuro per dimostrare che il mondo della notte non è quello sbandato che tutti credono ma è piuttosto la continuazione di tutto il lavoro che si svolge durante il giorno.

4)Quali sono le necessità spaziali di un programma del genere?

L’area della disscoteca la immagino della grandezza del foro italico o del palazzo dei congressi, devono essere tutta una serie di spazi di contorno che inseriscano nell’ambito della discoteca vero e proprio. Inoltre Roma e una città che d’estate si sveglia, sopratutto negli ultimi anni si sta sviluppando questa tendenza, quindi consiglierei degli spazi all’aperto oltre che al chiuso per poter usufruirne 12 mesi all’anno e attivare anche una programmazione continua.

5)Quali sono i tuoi progetti futuri con “CIRCOLO DEGLI ILLUMINATI”? Uno spazio del genere potrebbe incontrarli?

Bhe per quanto riguarda la mia attività, il desiderio sarebbe di renderla sempre più affermata. Chiaramente uno spazio appositamente progettato sarebbe un bell’ incentivo. Inoltre oggi non esistono più i disck jockey intesi come quelli di una volta, oggi sono degli artisti o produttori veri e propri, diciamo che si è ampliata la professione e uno spazio del genere permetterebbe di lavorare decisamente meglio in questa direzione.

REM KOOLHAAS E L’ARCHITETTURA DEL CONTESTO, OPERAZIONI DI LAYERING PER NUOVE VISIONI. LA BIBLIOTECA JUSSIEU.

Negli anni ’80, che vanno in realtà dal 1978 al 1989, anno della caduta del muro di Berlino, la cultura architettonica diventa consapevole di una nuova verità, il rapporto con il contesto. Già negli anni ’70 Robert Venturi e Peter Blake avevano iniziato a parlare di contesto come critica alla componente a-contestuale degli anni del funzionalismo.
Ciò che è rilevante è la consapevolezza del consumo di suolo, l’architettura non deve più espandersi e occupare senza riserve territorio, ma si deve attivare una progettazione che tenga conto delle risorse limitate del pianeta con intelligenza.
Si da alla parola contesto una doppia interpretazione: la prima legata al luogo, quindi alla morfologia del territorio e al sito di progetto, la seconda è legata a tutti quei rapporti sociali, economici e politici che si consumano nella città.
I due modi di intendere il contesto si incontrano fra loro nelle ricerche di questi anni interpretando il contesto come un immagine fatta di intrecci e tessiture.
Nel 1978 Rem Koolhaas pubblica “Delirious New York” saggio in cui studia la città di New York, le sue componenti e come si possa operare su di esse. La grande mela è una città che si è sviluppata secondo l’esigenza di trovare spazi vitali per prendere forma non potendosi espandere territorialmente. Inizia a sperimentare quella che sarà la sua maniera di operare, che si oppone o meglio completa quella delle avanguardie, la cui potenza era quella di destabilizzare le certezze culturali creando anche soluzioni estetiche radicali. Koolhaas affianca a questa operazione di decostruzione un operazione di ricostruzione, ristabilendo una collaborazione fra avanguardia e cultura di massa. Lo fa attraverso il layering, metodo sul quale si basano altri architetti proprio in quegli anni, come ad esempio Hadid e Tschumi.
I tre approcciano a questa metodologia in maniera differente. Hadid lo fa attraverso l’intreccio e l’affioramento, come se i suoi progetti si rifacciano alle spennelate di colore dei suoi quadri.

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The Peak, Honk Kong, 1983

Tschumi lo fa attraverso una sovrapposizione meccanica di layer su piano orizzontale.

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Parc de la Villette, Parigi, 1982/87

Rem Koolhaas opera sovrapponendo layer orizzontali ma che proiettati su uno schermo verticale creano una visione dinamica e composita delle sezioni che da una nuova naturalità al contesto.

L’idea fondamentale di operare per layer è quella di dimostrare che anche non riferendosi a schemi compositivi tradizionali si possono ottenere architetture complesse. L’operazione di fatto è quella di individuale le componenti architettoniche e ricomporle successivamente secondo una configurazione personale. Rem Koolhaas nel processo di ricomposizione opera per somme e addizione.
Queste caratteristiche dell’architetto le ritroviamo in molti progetti che vanno dalla scala territoriale a quella architettonica, volontà dichiarata nel libro S,M,L,XL in cui esprime la necessità di ricorrere agli stessi principi progettuali in tutte le scale, grandi o piccole che siano.  Si possono citare il Parc de la Villette di Parigi o anche Euralille o l’opera da me presa in considerazione la Biblioteca di Jussieu a Parigi del 1992, non costruita ma solo progettata.

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Parc de la Vilette, Parigi, 1982 Layers and sections.

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Euralile, Lille, 1994

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Jussieu library, Parigi, 1992

Secondo gli stessi principi prima elencati egli estrapola l’elemento principale dell’architettura ossia i solai e inizia un operazione ricompositiva di layering all’interno di una griglia o gabbia, a seconda se si ragiona in 2D o 3D, regolare.La seconda operazione è quella manipolatrice, gli elementi sono modificati in maniera da creare una unica traiettoria ascendente che contribuisce a creare movimento e dinamicità secondo la traiettoria verticale. L’architetto stesso descrivendo l’opera parla di una pila di piattaforme.

Nello specifico dell’opera le operazioni che applica su questi elementi sono cinque: CUTTING, STRETCHING,BENDING,INFLECTING, HOLING.
Sommando gli elementi cosi modificati si viene a creare una struttura molto complessa rispetto alla regolarità della griglie di partenza . Altre operazioni completano l’opera e sono quelle di ADDING o CLOSING applicate alle precedenti per creare degli ambienti più chiusi e riservati, dei volumi interni di fatto, o per creare dei collegamenti la dove i solai non si vanno a toccare.

Avendo il lotto scelto da me, ossia l’area 40 una superficie su cui lavorare ridotta rispetto al programma edilizio e un lato completamente occupato da Villa Glori, con cui il progetto dovrà per forza di cose relazionarsi, ho scelto questo approccio progettuale perchè mi permetterà di svilupparmi in altezza creando un palinsesto che si anteponga a quello del parco creando un nuovo dinamismo rappresentativo della città. Questo concetto è legato anche al mio imprinting architettonico in cui la città è vista come una serie di sistemi sovrapposti e interscambiabili a livello informativo fra loro. Paesaggio e opera architettonica non si toccheranno tra loro ma dialogheranno formalmente, mentre la città entrerà all’interno del progetto con i suoi spazi (piazze, promenade negozi e bar) e le sue relazioni sociali.

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Schizzi interpretativi e di progetto 

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Plastico della scacchiera, riproduzione della Biblioteca di Jussieu

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Nuova configurazione della scacchiera

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Unione dei due sistemi per la creazione di infinite composizioni

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Abito al sesto piano di un enorme complesso di palazzine incastrato fra i binari della stazione e il fiume Tevere, e per ventiquattro anni il balcone di casa e stato il mio osservatorio sul mondo. Il mio luogo dell’imprinting e ciò che il balcone di casa offre da osservare. Ho sempre pensato che il mio piccolissimo quartiere sconosciuto al mondo ma non abbandonato da Dio fosse un paese all’interno di Roma. Quella familiarità dei gesti e dei movimenti del vicinato così ripetitivi e costanti, mi hanno sempre trasmesso un senso di appartenenza.

Probabilmente ridurre al solo balcone il privilegio della vista è sbagliato, in effetti ho sempre pensato che casa, con la sua significativa altezza rispetto alla strada, fosse come un sorta di fortino/ osservatorio privilegiato per cui se si guarda a destra, a sinistra o di fronte si riconoscono diverse situazioni. E’ un gioco che facevo sempre con mio nonno Tranquillo, ai tempi del militare, artigliere della contraerea e in seguito feticista dei binocoli. Per farmi stare buona e farmi passare il tempo mi faceva girare tutto il perimetro della nostra casa cercando di trovare situazioni divertenti o che destassero curiosità al di fuori del fortino, nessuno avrebbe potuto vederci…

La prima cosa di cui un buon osservatore si rende conto è della struttura di difesa del fortino, tutto il sistema infrastrutturale che protegge il piccolo paese e che è condizione necessaria e sufficiente all’esistenza del paese stesso. I binari della stazione che girano intorno per buona parte del perimetro e le differenze di quota con i quartieri limitrofi ai quali si accede o passando sotto o passando sopra a ponti contribuisce a creare un vero e proprio cerchio intorno all’aggregato di palazzi come fosse un fosso con i coccodrilli e i ponti levatoi. Mi hanno sempre tutti chiesto come riesca a sopportare il rumore dei treni che passano costantemente o come non abbia difficoltà ad attraversare quei ponti di notte, ma questi sono i cancelli; ed i rumori dei treni che passano sono le sentinelle di guardia.

La seconda cosa che un buon osservatore deve fare, ed è fondamentale, è scegliersi i suoi “buchi di vista”, il fortino è infatti circondato da moltissimi altri fortini alti tanto quanto lui se non di più, rigorosamente in mattoncini, gialli, color terra, marroni. Ogni fortino difende se stesso e gli altri. Se i palazzi intorno non fossero stecche di 8 piani, direi quasi che potrebbero essere considerate delle palizzate tra le quali, è normale, bisogna trovare il punto in cui si riesce a vedere al di la, al di fuori. Ce ne sono moltissimi in realtà sia verso il centro che verso la periferia, ma io preferisco quelli verso la periferia perché sono meno statici, più mutevoli nel tempo e più incuriosenti.

Iniziando il tour dalla mia stanza da letto riesco a vedere verso il centro quell’enorme massa bianca del Vittoriano, ogni mattina è quasi una garanzia del fatto che sono ancora viva o che non sto più sognando. Sta li imponente, sempre uguale, autoritaria a indicare l’antichità della nostra città anche se ormai in una fase decadente. Spostando lo sguardo verso destra superando  con la vista il palazzo proprio di fronte al mio, ecco li che si stagliano le banchine della stazione di Trastevere con  l’edificio come “scena frontis”. Questo è un buco di vista su cui inevitabilmente ci si sofferma a lungo per la sua vivacità. Mille personcine formato miniatura salgono e scendono dai treni indaffaratissime, e ogni volta la scena cambia. Puoi individuare il pendolare, lo studente con i mezzi, il viaggiatore senza troppa difficoltà. Persone, cavi elettrici, binari e treni si intrecciano sullo sfondo giallo e statico di una delle più antiche stazioni di Roma. Se si aguzza un po l’occhio si nota la presenza di altri personaggi che da molti più anni di me studiano i viaggiatori, sono le statue della basilica di San Giovanni, fermi sopra la stazione come se dovessero muovere i fili che comandano i movimenti delle persone. I flussi e i movimenti sono ciò che caratterizzano il secondo scenario altrimenti insignificante, devo ammetterlo. Abbandonando la stazione e volgendo l’occhio ancora una volta un po più a destra ecco che si identifica il mio scenario preferito, mille e dico mille gru che sembrano dell’ enormi braccia sulla città, con il quartiere Ostiense e la sua architettura industriale di fondo. Trovo estremamente caratterizzante questo scenario, come detto prima per la sua mutevolezza, le gru infatti cambiano posizione se non ogni giorno quasi, costruendo nuovi palazzi o forse cercando di finire gli stessi palazzi da anni; il senso di instabilità che trasmettono è enorme. I giorni in cui sei più triste ti deprimi pensando che la nostra città sia arretrata e tenuta in una condizione pessima  da tutti i sindaci da “Romolo” a oggi; i giorni in cui sei più sollevato invece apprezzi, forse inconsapevolmente, la presenza di queste enormi braccia costruttrici che aldilà di tutto fanno da arredo dando quel senso di metropoli che la nostra città non avrebbe se non fosse per loro, con la speranza che prima o poi se ne andranno o forse no… Le Gru insieme al gazometro che si staglia altissimo sull’orizzonte costruiscono nell’aria una rete fatta di travi di metallo e bulloni, al di là della quale è possibile vedere. Sono costruzioni che nonostante tutto non disturbano anzi sembrano quasi dei filtri cui vedere attraverso. Al di là ci sono alberi, case, persone, macchine, vita. Sembra quasi di stare all’interno della cappella del Vasari a Napoli, con le sue volte a crociera divise in settori losangati, all’interno delle quali scene floreali e di vita comune sono dipinte; se ti siedi e guardi verso l’altro puoi scegliere la tua scena e iniziare a immaginare. Così si può fare con le strutture di metallo. Immagino sempre che un giorno magari ci si possano attaccare dei volumi dando un nuovo senso ad un’architettura che forse non servirà più come industriale ma abitativa, così come le gru, se dovessero rimanere li e diventare loro stesse palazzi invece che costruirli. Affacciandosi dall’ultimo lato di casa in realtà più che attraverso un buco di vista bisogna guardare a terra. Improvvisamente ci si rende conto delle macchine che spariscono al di sotto della strada attraverso rampe. E’ una cosa che mi ha sempre affascinata. La particolarità della via è che al di sotto della strada si sviluppano almeno quattro piani di parcheggi, uno a livel terreno, gli enormi fortini infatti sono sollevati su pilotis, e tre al di sotto della quota zero. Tra gli alberi ascensori e scale si insinuano nelle viscere della terra e portano a garage che immagino alcuni essere dei semplici depositi per auto altri invece contenitori di veri e propri mondi: cantine, laboratori, sale per suonare, atelier d’ artisti chi lo sa. Sto al sesto piano e immagino quanta vita scorre al di sotto di me.

La compresenza di persone, il movimento, gli strati, l’altezza, le gru, gli scorci, il pattern dei mattoncini, che purtroppo mai leverò dalla testa, il treno, i ponti, l’idea di un mondo che non si vede al di sotto dei miei piedi, mi hanno sempre dato spunti per immaginare storie, inventare giochi di fantasia, perdere tempo mentre fumo la mia sigaretta affacciata di fuori.

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